Trattamento delle carcinosi peritoneali
Oltre agli usuali trattamenti con chemioterapia per via sistemica, esiste una strategia terapeutica descritta nella letteratura internazionale, ma non ancora supportata da studi che abbiano sicura valenza scientifica statistica, per il trattamento delle carcinosi che è rappresentata da una procedura integrata:
- la peritonectomia con chemioipertermia intraddominale.
Si tratta di una procedura complessa che prevede due fasi:
- una prima fase-chirurgica- che ha lo scopo di rimuovere tutto il tessuto tumorale evidente,
- una seconda- di chemiopetaria intraddominale ipertermia- che ha lo scopo di distruggere tutti i residui tumorali microscopici o di dimensioni millimetriche.
- La chirurgia
La chirurgia rappresenta nell’ambito dei tumori l’elemento essenziale di cura.
Si può affermare che per la massima parte delle neoplasie maligne solide, quelle cioè che non riguardano il sistema emopoietico (come le leucemie), le uniche possibilità di guarigione si verificano esclusivamente quando la chirurgia è fattibile.
In particolare i migliori risultati circa la guarigione si ottengono quando è possibile effettuare un intervento radicale, un intervento cioè che sia in grado di eliminare “totalmente “ il tumore.
L’eliminazione chirurgica del tumore prevede l’asportazione dell’organo e di tutte le strutture anatomiche interessate macroscopicamente dal tumore, senza lasciare residui apparenti di malattia.
Per ottenere questo risultato è necessario sacrificare in parte o in toto i visceri colpiti dalla sviluppo della neoplasia, così la asportazione dello stomaco, del colon, dell’utero, delle ovaie etc rappresentano le più comuni procedure di exeresi previste per la cura dei tumori endoaddominali.
Fino a pochi anni or sono in presenza di carcinosi peritoneale, e ancora di più in presenza di ascite neoplastica, ogni intervento chirurgico era escluso, dal momento che era considerato impossibile ottenere una cura radicale dal punto di vista della tecnica chirurgica e perché comunque i pazienti con carcinosi erano considerati alla stregua di malati per i quali le prospettive di guarigione erano quasi nulle.
Oggi, anche per quanto riguarda il trattamento chirurgico delle carcinosi, vale il principio generale della cura dei tumori: fondamentale è ottenere la “radicalità”, cioè asportare tutto il tumore visibile.
Dal momento che si tratta di una malattia nella quale l’elemento caratterizzante è rappresentato dalla diffusione del tumore sul peritoneo sia viscerale che parietale ne deriva la necessità di asportare tutto il peritoneo interessato dallo sviluppo della neoplasia.
Questo comporta l’asportazione sia del peritoneo parietale, cioè del peritoneo che riveste le pareti della cavità addomino-pelvica, che di quello vicerale, che riveste tutti gli organi endoperitoneali.
Dal momento che il peritoneo viscerale non è dissociabile dai visceri che riveste, occorre asportare anche il viscere coinvolto dalla carcinosi.
Pertanto la peritonectomia (o “debulking” o “citoriduzione”) prevede di regola:
- - l’asportazione del peritoneo parietale ( delle pareti addominali, della parete pelvica, dei diaframmi)
- - l’asportazione di organi e visceri rivestiti dal peritoneo viescerale: asportazione della milza, della colecisti, dell’utero e delle ovaie, del colon-retto, dei tratti dell’intestino tenue
- - la distruzione di tutti gli impianti cacinomatosi visibili, quando non è possibile asportare ulteriormente visceri, mediante la utilizzazione di strumentazione speciale: bisturi elettrici ad alta potenza, laser, bisturi ad argon, cavitron etc
L’asportazione dei visceri interessati deve comunque essere programmata allo scopo di non compromettere le funzioni digestive e la qualità di vita e deve essere effettuata solo quando non è possibile risparmiare gli organi interessati mediante la utilizzazione di tecniche di distruzione degli impianti tumorali che si sono sviluppati sul peritoneo che li ricopre.
- La chemioterapia intra-addominale ipertermica
Quando si intraprende una procedura chirurgica per trattare la carcinosi peritoneale, lo scopo da raggiungere è quello di asportare tutto il tumore visibile, raggiungere cioè una “radicalità” almeno apparente.
Tuttavia non sempre questo è possibile ed in tal caso lo scopo da raggiungere è comunque quello di ottenere la massima asportazione possibile di tessuto tumorale (in termini tecnici “citoriduzione” o “debulking”), lasciando residui quanto più possibile di piccole dimensioni (mm).
Perché anche questa riduzione non totale è utile?
Molte ricerche hanno dimostrato la utilità della citoriduriduzione anche non perfettamente totale, ed in particolare per alcuni tumori come quelli dell’ovaio, in quanto dopo l’attuazione di una importante riduzione chirurgica della carcinosi, è possibile sottoporre ulteriormente i pazienti a nuovi cicli di chemioterapia con buone prospettive di ottenere significativi risultati in termini di controllo della malattia, qualità di vita e sopravvivenza.
Un ulteriore passo avanti nella strategia del trattamento delle carcinosi è stato fatto associando la peritonectomia alla chemioterapia intra-addominale ipertermica.
In cosa consiste la chemioterapia intra-addominale ipertermica
Si tratta di una chemioterapia che viene effettuata alla fine dell’intervento chirurgico: dopo la fase di asportazione della carcinosi si introduce in addome attraverso speciali drenaggi una soluzione di chemioterapici, scelti di volta in volta in relazione allo specifico tipi di tumore da trattare.
Questa soluzione è riscaldata e mantenuta alla temperatura costante di circa 42° da una macchina realizzata per questa esigenza e che è anche dotata di una pompa che fa circolare la soluzione nella cavità addomino-pelvica, immettendola da un drenaggio e aspirandola da un altro.
Questa circolazione è mantenuta per un tempo variabile da mezz’ora ad un’ora a seconda dei protocolli previsti e consente di far “lavare” dalla soluzione tutta la cavità addominale, comprese le pareti e tutti i visceri addominali e pelvici in essa contenuti.
Questo lavaggio ipertermico consente al chemioterapico di penetrare fino a 3-4 mm dalla superficie e quindi di distruggere eventuali residui tumorali dalle dimensioni microspiche fino a quelle di 2-3-mm.
E’ ovvio che quanto più radicale è stata la fase chirurgica, cioè quanto più tumore è stato asportato, meglio se fino alla completa eliminazione macroscopica, tanto maggiore sarà l’efficacia della chemioipertermia nello sterilizzare eventuali residui microscopici o residui di minime dimensioni.
Pertanto la associazione fra peritonectomia, cioè la massima asportazione possibile di tessuto tumorale, e la chemioipertemia intraoperatoria rappresentano attualmente la strategia terapeutica maggiormente convincente per le carcinosi pertitoneali e pelviche, perché se la chirurgia asporta tutto o quasi il tumore visibile, la successiva chemioipertemia è in grado di distruggere i residui microscopici o di dimensioni minimali.
In definitiva il connubio fra peritonectomia e chemioipertermia rappresenta infatti un insieme indissolubilmente legato dal tentativo di ridurre il più possibile il rischio di insuccesso che entrambe le metodiche, se applicate isolatamente, possono conseguire